La distillazione è un’arte antica. Tra i grandi distillati del mondo, c’è un posto anche per la Grappa. E parlando di Grappa, oltre ad essere un prodotto tipicamente italiano, è l’unico distillato che si può già bere appena uscita dalla serpentina. Cercando nel suo passato, l’etimo del suo nome risale al lombardo “grapa”, cioè graspo, a sua volta derivato dal tedesco “napf”, ossia nappo: ciotola o bicchiere. I friulani la chiamano “sgape”, in Piemonte è chiamata “branda” (termine ereditato dai francesi) e in Sardegna “filu e ferru”. Certamente antica ma non di nota data, la Grappa è stata inventata dalla gente del popolo. Quindi di umili origini ma di gagliarda vitalità. Per secoli trovò proprio nella gente del popolo i suoi estimatori. Un tempo lontano gli intellettuali la snobbavano. Dante e Petrarca la trovavano abominevole (sic!), e così i nobili che amavano vini pregiati. Ma i medici gli riconoscevano potenti virtù.
Dal passato al presente. Oggi con le tecniche acquisite la Grappa è salita nel Ghota dei distillati. Una metamorfosi derivata da una migliore qualità del prodotto immesso sul mercato, ma con punte di gran pregio e, inedita per quei tempi, di monovitigno. Un’ascesa lenta a costante che colloca la grappa alla pari dei prestigiosi distillati stranieri che, a differenza di questi ultimi, mantiene con pochi altri, la parte alta del mercato. In Liguria la grappa ha sempre avuto moltissimi estimatori. La sua introduzione e diffusione, è dovuta agli antichi legami con il vicino Piemonte, terra votata come poche altre alla vitivinicoltura. Sin dai tempi passati, i Liguri vi si approvvigionano di vini, in particolare nell’Ovadese, dove il Dolcetto vantava meritata fama già nel 1700. Ancor oggi, con le uve del vitigno omonimo, validi produttori ottengono il Dolcetto d’Ovada (Doc nel 1972) e nel 2008 l’Ovada Docg. E dal vino alla grappa, il passo è breve.
A creare dalle vinacce di Dolcetto d’Ovada un distillato d’Autore, Luigi Barile, un personaggio che potrebbe definirsi d’altri tempi. Il successo acquisito se lo è conquistato con sacrifici, caparbietà e ingegno. Oggi Luigi Barile è un affermato commercialista con la passione del distillatore. Il suo sogno è sempre stato quello di produrre grappe di altissima qualità. Dopo alcuni decenni, le sue grappe sono famose. Poteva iniziare con grappa di vinacce di vitigni blasonati. Sarebbe stato più facile. Ha scelto la strada più lunga e difficile: distillare vinacce di dolcetto, non quelli rinomati dell’Albese, ma quello d’Ovada. Certamente meno conosciuto e reputato a torto inferiore a quelli citati. Il Dolcetto d’Ovada Doc di buona annata, ha profumi, struttura e longevità straordinari. E Luigi l’ha dimostrato creando grappe di ampio e composito profumo, di rara armonia gusto-olfattivo e di grande personalità. Distillare è fatica, tanta fatica.
Fin che ci sono vinacce fresche, bisogna andare avanti. Non ha caso, distilla solo per una ventina di giorni. Vederlo lavorare avvolto dal vapore che esce dalle caldaiette, emana qualcosa di antico e irreale. Poi i primi trepidi assaggi. Concentrato, attento a non farsi sfuggire ogni più labile sentore. Poi, passato l’esame organolettico, il suo volto si distende e abbozza un sorriso. Ancora una volta sarà una grande grappa. Col suo prodotto, Luigi Barile ha valorizzato anche il comune di Silvano d’Orba, dove anni fa nacque la storica distilleria. Non solo. Con l’apprezzamento del compianto Luigi Veronelli, contribuì a creare la prima De. Co. della Grappa in Piemonte. Le sue Grappe, oltre a vincere nei più importanti Concorsi Internazionali come Londra e Bruxelles, nel 2001 e 2010 sono andate in dono ai Capi di Stato, nei rispettivi G8 e G20. Anche dopo i rilevanti riconoscimenti e le citazioni sulle più importanti pubblicazioni, Luigi Barile ha mantenuto la sua semplicità e onestà intellettuale. Sempre dalla parte di chi si prodiga per aiutare gente e ambiente. Generoso e amante della convivialità, Barile coadiuvato dalla moglie Nuccia, da anni invita tantissime persone alla Festa della Grappa Barile.
Un “Barile Day” siglato dal rito della distillazione. Cioè distillando in diretta per i numerosi invitati arrivati da ogni parte d’Italia. Non solo. Da oltre un lustro ha creato un premio importante, non di valore venale ma di prestigio. Premio che ha consegnato a Don Gallo, Marta Vincenzi, all’Onorevole Basso, Moni Ovadia, Carlo Freccero e a grandi giornalisti come la Gabanelli, Luca Telese, Andrea Scanzi e, quest’anno, a Massimo Fini, giornalista e scrittore anticonformista e acuto analista politico e Loris Mazzetti, dirigente televisivo, giornalista e scrittore, già collaboratore di Enzo Biagi, già amico di Don Andrea Gallo, sul quale ha scritto un libro. A consegnare i premi a questi ultimi, due donne di successo e prestigio: Cinzia Monteverdi, Amministratore delegato de Il Fatto Quotidiano, che con grande grinta e determinazione, in tempi difficili quali quelli odierni, dirige un giornale controcorrente e l’Ing. Wilma Massucco, originale filmaker indipendente che ha diretto e prodotto La vita non perde valore, Padre Berton e gli ex bambini soldato della Sierra Leone, documentario del 2012 girato in Sierra Leone per il quale ha vinto il “Premio Nazionale sui diritti Umani Maria Rita Saulle 2014” .
Tra gli ospiti, il dr Flavio Gaggero fraterno amico di Barile e don Gallo, uomo di cultura e straordinaria umanità. Nel corso dell’evento, Luigi e Nuccia Barile hanno premiato chi ha scritto con una sterlina d’oro con l’effige della regina Elisabetta. Un graditissimo dono (non meritato) per l’amicizia e l’annuale racconto-degustazione delle varie annate di eccellente Grappa, quest’anno dei millesimi 1985, 1997, 1991 e 2011 biologica. Dulcis in fundo: gradita non solo dai più piccoli, l’artistica e grande torta realizzata da Bottaro e Campora ricevimenti. Infine un elogio alla Grappa Barile Millesimo1976, prima grappa prodotta.
All’aspetto è brillante, di colore giallo ambrato vivo con netti riflessi dorato-ramati. All’olfatto si presenta di straordinaria intensità, persistenza e finezza. Profumi ampi, compositi, che spaziano dal floreale al fruttato con note speziate. Emergono i piccoli frutti rossi boschivi maturi e macerati nell’alcol, fiori gialli di campo essiccati, mandorla secca, vaniglia e zabaglione. E ancora, goudron, boisé e fieno di montagna. Al sapore è secca ma morbida, calda, con delicata e piacevole vena astringente, di decisa ma equilibrata struttura, con un finale di grande persistenza aromatica. Spiccano al retrogusto, le note fruttate, di liquirizia e di fieno di montagna.
Nella foto di Carlo Grifone - Da sinistra: Loris Mazzetti, Massimo Fini, Luigi Barile e Wilma Massucco.
Virgilio Pronzati, giornalista specializzato in enogastronomia e già docente della stessa materia in diversi Istituti Professionali di Stato...
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