La norma, ormai quasi un luogo comune, è che bere vino al ristorante costa tanti soldi: ogni tanto la polemica rimonta come la lava dentro un vulcano per poi acquietarsi, senza mai acquisire la dimensione di una vera eruzione. Nel bene e nel male, visto che se ne parla (mentre ne scrivo, sabato 29 aprile ore 12.55, se ne sta occupando anche la trasmissione Forum su Retequattro), un problema dovrà pur esistere. E infatti nel solito ping-pong tra gastronauti e ristoratori iperstellati, (mentre quelli da 60 coperti e da 30/40 euro a cena, ovvero la maggioranza, non hanno diritto di parola e non si sa bene cosa pensino a riguardo), spuntano spesso un paio di formule magiche: "vino al bicchiere" e "diritto di tappo". In questo articolo ci occuperemo di questa seconda opzione, dando un'occhiata a cosa succede oltreoceano, dove la formula è già stata abbondantemente sperimentata, collaudata e discussa, mentre noi ci accontentiamo di pura teoria (chi mi leggesse e praticasse già il diritto di tappo non si scaldi troppo, si tratta di eccezioni).
Le informazioni riportate rappresentano la sintesi di materiale trovato in rete sull'argomento.
Parliamo della California, dove la pratica del diritto di tappo (corkage fee) è già diffusa da qualche anno al pari di altri stati della confederazione a stelle e strisce, alcuni stati canadesi, Australia e Nuova Zelanda. In questo articolo ci limiteremo comunque ad alcuni aspetti dell'esperienza californiana: anche laggiù facciamo notare che il ricarico medio del ristorante si aggira nell'ordine di 2,5-3 volte il prezzo di partenza del vino dalla cantina.
Porta la tua bottiglia al ristorante
In lingua inglese si chiama BYOB (bring your own bottle), ed è sotto questa sigla che è possibile identificare i locali che offrono questa formula (esistono elenchi molto accurati perfino su internet).
Ogni ristoratore può decidere la propria tariffa, solitamente compresa tra i 15 e i 25 dollari, in maniera consona alla politica del locale, offrendo in cambio un minimo di servizio come la stappatura e i bicchieri. A questa regola di base esistono molte varianti: il corkage fee progressivo a salire in funzione del numero di bottiglie stappate, utile per difendersi da chi porta casse - ed è successo tante volte - di vino; una serata alla settimana in cui il corkage fee è reso nullo; eliminare il corkage fee per una bottiglia portata da casa ordinando una seconda bottiglia dalla carta dei vini del locale; limitare il numero di bottiglie portate da casa; non accettare vini che risultino già sulla lista del ristorante.
La fantasia, però, non ha limiti: ci sono ristoratori che gestiscono nelle adiacenze dell'esercizio una vera e propria enoteca, dalla quale potere ovviamente acquistare vino e ottenere su questo riduzioni o annullamenti del corkage fee. Come diceva Alberto Sordi, americano a Roma, "Aho, so' forti 'sti americani".
Ovviamente non tutti i ristoratori hanno aderito a questa pratica, visto che ognuno fa i propri conti con la propria realtà particolare.
I ristoratori: chi è d'accordo ...
Chi ha aderito pone con molto realismo l'accento sui pro e i contro di questa formula, consapevole però del fatto che ha rappresentato un elemento di novità che ha portato più clienti.
Vendere meno vino significa non solo ridurre concretamente una voce nella colonna "entrate", ma anche limitare la copertura dei costi di gestione di bicchieri e decanter, un costo copribile solo tramite un corkage fee adeguato. Visto che il vino rappresenta una parte importante del business plan, rinunciare alle entrate da esso derivanti significa dovere andare a ritoccare altre voci per potere mantenere un'adeguata redditività. L'opinione di Ronn Wiegand, editore della newsletter californiana "Restaurant Wine", è che in fondo il ricarico su una bottiglia di vino è percentualmente lo stesso applicato a un piatto: la differenza è che sulle bottiglie di vino si accettano più volentieri i prezzi stratosferici, ragion per cui nessuno spenderebbe mai 200 euro per una bistecca ma per una bottiglia sì.
Il corkage fee, come detto, è da molti riconosciuto come un modo molto interessante per aumentare il giro dei clienti: e chi pensava che avrebbe solo attratto bottiglie a basso costo si è chiaramente sbagliato. La realtà è che in alcuni casi sui tavoli appaiono etichette davvero di gran pregio, e che gruppi di appassionati si riuniscono sovente portando bottiglie da centinaia di dollari per fare degustazioni mirate. Questioni di "bon ton", regole non scritte di comportamento adeguato suggerito ai clienti di questi ristoranti (regole come evitare di portare vini già in carta o vini un po' troppo... economici), imporrebbero di coinvolgere in questi assaggi spettacolari il gestore del locale.
C'è anche da dire che di fronte a un ristoratore attento e competente il cliente tende verso un compromesso tra il corkage fee e l'ordine dalla carta dei vini: non è quindi detto che il cliente non si lasci tentare da una proposta interessante, soprattutto se "raccontata" in maniera accattivante e se rappresenta qualcosa di particolare.
... e chi no.
Chi non ha aderito al programma lo ha fatto perché considera la propria carta dei vini come un continuum del proprio menu, per non volere sminuire un paziente e attento lavoro di ricerca di etichette, ma anche e soprattutto perché il vino rappresenta comunque un'interessante fonte di entrate. Molti ristoratori hanno investito sulla voce vino non solo in termini di bottiglie, ma anche su personale specializzato e sull'attrezzatura di servizio - bicchieri, decanter e tutto quell'armamentario che ben conosciamo -, e non intendono vanificare questi sforzi.
I consumatori: chi è d'accordo ... cioè tutti
Il consumatore sembra decisamente gradire la formula. A parte le ovvie considerazioni (non sempre appropriate) sul fatto che si possa sempre riuscire a risparmiare, vi sono altri punti sui quali ragionare: la possibilità di scegliere il ristorante partendo dalla propria bottiglia che si desidera bere; superare la limitatezza o la monotonia di molte carte dei vini; potere bere bene, spendendo una cifra ragionevole, senza dovere andare a parare in fondo alla carta e dibattersi in una scelta molto limitata e magari qualitativamente non all'altezza; potere celebrare un momento particolare con una bottiglia particolare.
Un consumatore molto singolare è il winemaker Lance Cutler, un agguerrito "wine vigilante" che sta riportando a nuova vita il "Wine Patrol", un'organizzazione dalle finalità essenzialmente promozionali a favore dei vini di Sonoma County - nota zona di produzione californiana che contende a Napa Valley la palma dell'eccellenza - che assurse 16 anni fa alla ribalta della cronaca dirottando per scherzo, anche se travestito da dirottatore in piena regola, il Napa Valley Train - attrazione turistica locale che qui ci sogniamo -, intimando ai turisti impauriti di gettare le loro bottiglie di vino appena acquistate della Napa Valley e di bere vino di Sonoma County. L'opinione di Cutler è che quando una bottiglia di vino al ristorante finisce per diventare perfetta alternativa all'appuntamento del figlio dal dentista significa che c'è qualcosa che non funziona. Già protagonista di crociate contro gli eccessi dei prezzi di alcune aziende californiane, l'iniziativa che sta mettendo oggi in cantiere si chiama "WinePal": in sostanza si tratta di indurre il ristoratore a offrire un piccolo gruppo di etichette di qualità, più precisamente una per tipologia di vitigno perché laggiù ragionano così, a un prezzo inferiore a 30 dollari. L'aspetto più incisivo dell'iniziativa è che Cutler sta formando un gruppo di volontari che andranno a sondare i ristoranti, rilasciando a quelli dai ricarichi un po' eccessivi un biglietto recante una frase del tipo "i prezzi della tua carta mettono in dubbio un ritorno a breve in questo locale". Ulteriori informazioni in merito sono disponibili sul sito web www.winepatrol.com.
I consumatori-produttori
E i produttori di vino? Come si comportano nei confronti del corkage fee? A chi fosse capitato di pranzare o cenare in modo informale con qualche produttore nostrano sarà sicuramente capitato di vedere come la prassi di portare con sé il proprio vino sia decisamente consolidata (con buona pace del ristoratore). Poiché tutto il mondo è paese, ciò accade anche in Napa Valley: la cosa viene gestita come uno scambio paritetico di favori tra produttore di vino e ristoratore sulla base di "io ti mando i clienti, quindi io porto il mio vino e non pago il diritto di tappo". Per molti ristoratori questi rapporti rappresentano un vero problema: se in alcuni casi si tratta di un ricatto neppure troppo velato, in altri esiste viceversa un vero rapporto di amicizia con il produttore, che però quasi sempre porta il proprio vino, per cui c'è poi imbarazzo nel far pagare il corkage fee: in alcuni casi, però, il quieto vivere significa per il ristoratore subire un piccolo salasso.
Non tutti gli esercenti sono però intenzionati a soccombere e qualcuno ha rotto il cerchio, magari servendosi di qualche piccolo stratagemma per addolcire la pillola come devolvere un'aliquota del corkage fee a un'organizzazione che fornisce abitazioni ai lavoranti nelle vigne. Nonostante la finalità, l'iniziativa ha dovuto subire manifestazioni di ostilità decisamente forti da produttori di vino che si ritenevano profondamente offesi per tale comportamento.
Quale morale?
La formula è interessante e merita attenzione: se calata in maniera opportuna nel contesto può significare la rivitalizzazione di tutta una serie di locali dalle carte dei vini dotate di scarsa personalità. Non sarebbe neppure male applicata a trattorie, pizzerie, ristoranti "etnici", dove l'appassionato sente spesso della mancanza di un buon bicchiere di vino perché compresso tra l'opzione di una bottiglia assolutamente casuale e l'offerta di birre (spesso scialbe) e soft drink, quest'ultima talmente redditiva da essere rimpiazzabile solo a fronte di diritti di tappo cospicui.
Penso comunque che anche quei "patron" attenti al vino non dovrebbero temere di aprire a questo tipo di formula: di fronte a un ristoratore colto il cliente cerca volentieri il confronto, il dialogo e anche un consiglio.
Sarebbe una grande novità, dotata di quel giusto pizzico di populismo e che come tale attirerebbe fatalmente pubblico: perché non pensarci?
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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