Non solo "aride" informazioni, ma anche un'esperienza in presa diretta: umana e organolettica
Partiamo da una notizia che è uscita nei giorni del Miwine e che ha a che fare con l'argomento di questo articolo: il prestigioso enologo Riccardo Cotarella, dopo essere stato il primo enologo italiano a operare a Bordeaux, sarà anche il primo enologo italiano a operare in India.
La notizia, manco a farlo apposta, si è perfettamente sincronizzata con una serata un po' particolare svoltasi presso la sede Onav di Milano, dove opera l'attento Vito Intini, organizzata in collaborazione con il vulcanico collega Guido Montaldo. Argomento: una testimonianza in presa diretta di un enologo friulano (quindi italiano), Andrea Valentinuzzi, sulla sua attività di consulenza svolta presso un'azienda vitivinicola indiana, completata da una degustazione di quattro vini prodotti in loco. Ovviamente un'occasione del genere, visto l'articolo scritto il mese scorso, era delle più ghiotte, e la serata non ha certo deluso poiché mi ha permesso di raccogliere ulteriori dati sul tema e che saranno l'oggetto di questo articolo: ma più che i fatti e le informazioni, la cosa più bella della serata è stata la trasmissione di un'esperienza prima di tutto umana. E' stato questo aspetto che ha trasformato una serata con relatore e quattro vini da degustare in un momento molto particolare, ed è per questo motivo che ringrazio di tutto cuore Andrea Valentinuzzi.
L'ambiente
Chi non sia mai stato in India fa certamente fatica a immaginare la realtà quotidiana di laggiù. Si tratta di un insieme di popoli, lingue e abitudini difficilmente immaginabile, dove l'inglese è lingua ufficiale insieme all'indi, ma dove parlare un proprio dialetto molto locale è quasi la norma. Il fatto misterioso è che la convivenza, tranne sporadici episodi e tranne delle recrudescenze recenti di frange limitate della minoranza musulmana, tra tutte queste diversità funziona: "Tutti convivono insieme - ha spiegato Valentinuzzi - e le persone sono sempre molto gentili. Ciò che però mette in difficoltà lo straniero è la divisione in caste: non avendo sempre chiaro il posto occupato da una persona nella scala sociale si corre sempre il rischio di commettere qualche errore". Sistema sociale a parte, anche ciò che da noi sembrerebbe scontato, come la luce, l'acqua corrente, laggiù non sempre lo è, anzi.
Una considerazione interessante svolta da Valentinuzzi rispetto alle abitudini locali, per avvicinarsi alla realtà vitivinicola, è che il governo sta spingendo il prodotto vino in contrapposizione ai superalcolici, il consumo dei quali è un aspetto residuale della dominazione britannica. Il motivo è molto semplice: il minor tasso alcolico del vino ne fa un prodotto preferibile dal punto di vista sociale. In ossequio però al retaggio del consumo di superalcolici, il grado di apprezzamento di un vino è direttamente proporzionale al suo contenuto in alcol.
Il cliente
Il cliente di Andrea Valentinuzzi, o per meglio dire di Enofly - azienda italiana di consulenza in ambito vitivinicolo presente in India già dal 2003 - si chiama Vintage Wines e si trova a Kundewadi, nella regione del Maharashtra, e proprio in quel distretto di Nashik che abbiamo già conosciuto nell'articolo del mese scorso come la Napa Valley indiana: i proprietari, padre e figlio - Suresh e Yatin Patil -, hanno un robusto portafoglio per lanciarsi nel settore vitivinicolo da zero, derivante dai loro abili affari nell'ambito dell'industria estrattiva. Nel 2003 hanno visitato il Vinitaly per guardarsi in giro, nel 2004 per verificare lo stato dell'arte della tecnologia, nel 2005 hanno costruito la cantina e nel 2006 hanno fatto il primo imbottigliamento. Valentinuzzi li ha definiti i clienti ideali: "Hanno un progetto di massima chiaro, cioè fare vini in grado di stare sul mercato internazionale ma che siano anche espressivi del territorio: soprattutto sono persone in grado di fidarsi e di affidarsi al consulente, oltre che determinate a raggiungere l'obiettivo". Per dare un'idea della mentalità, basti dire che la cantina è stata costruita "quasi a mani nude" in circa tre mesi da centinaia di lavoratori operanti sia di giorno che di notte, giusto in tempo per la vendemmia 2005: "Quando sono arrivato a gennaio e la cantina praticamente non c'era, i proprietari mi assicurarono che sarebbe stata pronta per la vendemmia: pensavo scherzassero, e invece in aprile, eccola, con solo pochi giorni di ritardo". Una cantina all'avanguardia, con tecnologia italiana. Cosa ha spinto persone che hanno interessi così lontani dalla viticoltura e dal vino (Mr. Patil Senior non beve alcolici) a costruire vigneto e cantina chiamando consulenti dalla lontana Enotria? "Il business - è stata la semplice risposta di Valentinuzzi -: il vino è un prodotto per il quale in India sono previsti ampi margini di crescita. Anche se la percentuale di consumatori di vino è bassissima, su una popolazione di un miliardo di persone anche uno zero virgola in più può fare molta differenza".
Il clima
L'India è un luogo molto particolare per chi è abituato a realtà più normali - dal nostro punto di vista -, ovvero dove ci sono stagioni estive calde e invernali fredde, e dove a volte fa troppo caldo o piove troppo nel momento sbagliato.
Nella Nashik Valley, invece, il clima possiede peculiarità tali da sbalordire lo stesso Valentinuzzi, definito come è da ritmi molto regolari. Le stagioni, per cominciare, sono tre: l'estate, che va da febbraio a maggio, in cui le temperature diurne superano tranquillamente i 40 gradi e l'umidità è bassa; la stagione monsonica, in cui di fatto piove sempre, che va da giugno a settembre e nella quale le temperature oscillano tra i 24 e i 32 gradi con un umidità superiore al 90% ("un clima infernale"); l'inverno, con temperature diurne superiori ai 20 gradi che di notte possono anche scendere sotto i 10. Le forti escursioni termiche nelle stagioni estive e invernali, fondamentali per l'accumulo di precursori aromatici, sono una caratteristica molto, molto apprezzata e che, nell'esperienza di Valentinuzzi, significa Sauvignon dall'aromaticità letteralmente esplosiva. Di fatto, però, piove solo nella stagione monsonica, momento in cui si concentrano i circa 500 mm di pioggia annui tali da allagare la vigna e permettere perfino un allevamento su piede franco: il rovescio della medaglia è, ovviamente, che la concentrazione di precipitazioni in un periodo temporale limitato faccia sì che nelle stagioni asciutte sia assolutamente necessario potere irrigare il vigneto. Le stagioni asciutte, infatti, lo sono per davvero: "Passano giorni, settimane - ha raccontato a tal proposito Valentinuzzi - senza vedere una sola nuvola in cielo: e quando fa caldo, i 40 gradi sono la regola". Anche il numero di ore di sole al giorno, essendo non lontani dall'equatore, presenta scarti contenuti tra le stagioni opposte.
Il vigneto
La forma di allevamento utilizzata in prevalenza è la lira, già utilizzata per l'uva da tavola. Tuttavia a Vintage Wines i vigneti sono a cordone speronato e le barbatelle provengono dall'Italia: uno degli aspetti che Valentinuzzi ha infatti riscontrato in India è la diffusa presenza di piante virosate e l'uso esteso di un portainnesto locale, che però ha scarsa affinità con le varietà internazionali, chiamato Bangalore Dogridge. Parlando di vitigni, a Vintage Wines c'è spazio per tutti, perfino per varietà italiche quali il Sangiovese, il Grillo, il Nero d'Avola. Il vigneto è in corso di completamento per un totale di 45 ettari, tutti dotati di impianto di irrigazione a goccia. Mentre le avversità "fungine" non rappresentano un problema, sono piuttosto gli insetti a dare del filo da torcere. In campagna la manodopera locale è attenta e con molta voglia di imparare: "Anche i lavoranti sono ideali, come i proprietari: seguono le direttive impartite senza prendere mai iniziative fuori dalle righe". Un aspetto singolare è che la vite non ha mai un periodo di riposo vegetativo: si fa però una sola vendemmia, in marzo-aprile, con potatura di produzione in ottobre.
Vantaggio competitivo
Questo quadro, apparentemente complicato, presenta una peculiarità molto interessante, che Valentinuzzi ha così spiegato: "Una volta che si ha un vigneto razionale, con la possibilità di dare acqua quando le piante vanno in stress, con un clima che va come un orologio, con malattie fungine praticamente assenti, l'unica cosa da fare è, ogni tanto, proprio aprire il rubinetto: è davvero facile avere un'uva matura, di grande qualità, e la cosa ancora più incredibile è che questo è possibile ogni anno. In condizioni di questo genere non c'è più il concetto di annata buona e di annata cattiva: tutte le annate possono essere considerate uguali, e in tutte le annate è possibile fare vino di grande caratura".
Tutto chiaro? Certo, il contenuto di poesia cala ma quello di qualità di prodotto, intesa come riproducibilità del risultato, aumenta. Pur rimanendo vero che la variabilità crea comunque interesse, va però ricordato che commercialmente una qualità costante, garantita e di livello medio-alto rappresenta un vantaggio competitivo non da poco.
Dobbiamo allora già tremare? Forse no, poiché l'impressione di Valentinuzzi è che gli indiani penseranno innanzitutto a soddisfare la domanda interna: altra ragione è che questo vantaggio non sia stato ancora inquadrato in tutta la sua efficacia.
I vini
Dulcis in fundo arriviamo ai vini, comunque l'elemento di maggior curiosità della serata, due bianchi - uno Chenin Blanc e uno Chardonnay - e due rossi - un Syrah e un Cabernet Sauvignon. Per tutti e quattro si trattava del risultato della prima vendemmia, quella del 2005. Vini tecnicamente ineccepibili, per cominciare, dotati ognuno di sfumature originali: note agrumate, in particolare di cedro e grande freschezza per lo Chenin Blanc - gradazione 14% nonostante un'impressionante resa di 250 quintali/ettaro; varietale, lineare ma non banale lo Chardonnay; di medio corpo, con gustose note fruttate di mora e lampone, un po' ancora da farsi in bocca il Syrah; impressionante per concentrazione e profondità di colore e frutto, con una nota piccante di pepe, il Cabernet Sauvignon.
È possibile che l'atmosfera della serata possa aver condizionato la sensibilità percettiva, ma l'impressione è che questa "prima" di Vintage Wines mostri con decisione l'originalità espressiva di un territorio che, "messo in squadra" dal punto di vista viticolo ed enologico, non potrà che emergere con decisione.
Conclusioni
Bisogna mettersi in testa che il dominio vitivinicolo della vecchia Europa è ormai un concetto che gli anni a venire sarà messo sempre più in discussione, e che il numero di competitor è destinato a crescere. Nel frattempo, evitando sia di fasciarsi la testa (ricordo bene che qualche anno fa uno dei luoghi comuni più comuni era che nel giro di qualche anno tutti noi avremmo bevuto solo vino cileno) che di confidare nel solito "stellone" (lasciamolo agli Azzurri del pallone), è opportuno prendere seriamente atto di questi fenomeni (i cinesi sono in crescita impetuosa, gli australiani in pausa di riflessione, l'Europa dell'Est sta scaldando i motori), capire l'impatto che possono avere e cominciare, ogni operatore presente sul mercato, a provare a rispondere a tre domande - "Chi siamo? Dove siamo? Dove andiamo?" - prima che i nuovi e agguerriti concorrenti manifestino il proprio vantaggio competitivo.
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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