Biodiversità è una parola chiave anche in viticoltura: per comprenderne le sue complesse sfumature di significato occorre ritrovare nel presente le tracce del passato.
Esiste un angolo del pianeta in cui la viticoltura, oltre a essere attività in essere da millenni, possiede risorse non ancora completamente esplorate e di importanza tale da potere rappresentare un patrimonio di inestimabile valore per tutti. Stiamo parlando delle regioni afferenti alle aree del Caucaso e del mar Nero, appartenenti alle ex Repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldova, Russia e Ucraina, nazioni che siamo abituati a considerare in associazione a gasdotti contesi, celebri giocatori di pallone o situazioni politiche ad alta turbolenza. La loro vicenda vitivinicola, come già accennato, è molto antica, talmente antica che, secondo le ricerche condotte sul tema, uno dei primi centri, se non addirittura l'unico, di domesticazione della vite selvatica da parte dell'essere umano fu proprio nell'areale caucasico.
Ricordiamo che per domesticazione si intende quel processo per cui una specie, vegetale o animale, viene trasferita da una situazione naturale a una situazione che ne prevede il controllo da parte dell'uomo, con l'obiettivo di rendere tale specie sempre più adatta a soddisfarne le esigenze. Tale processo, ai giorni nostri consapevole nonché sempre più sofisticato, iniziò in maniera meno consapevole ma parimenti efficace 10.000-12.000 anni fa circa, e si fa coincidere con l'inizio dell'attività agricola vera e propria da parte dell'essere umano..
Il patrimonio genetico varietale ospitato da queste regioni, oltre a eccellere per ricchezza e originalità, ha già attirato nel secolo scorso (il ventesimo) l'attenzione delle locali istituzioni di ricerca affinché venissero avviati dei programmi di creazione e di sviluppo di collezioni ampelografiche.
Tuttavia, il fragile stato di salute delle economie di alcuni di questi Paesi ha fatto sì che tali attività siano state messe a repentaglio, e con esse il patrimonio di conoscenze costituitosi nel corso degli anni. Va da sè che la perdita di questo bagaglio informativo prima e del materiale genetico poi sarebbe un duro colpo non solo alla biodiversità e ai vantaggi da essa offerta, ma anche alla possibilità di riuscire a ricostruire un plausibile albero genealogico delle varietà così come le conosciamo oggi.
Arrivano i "nostri"
A soccorso di tutto ciò è fortunatamente giunto il ricco e sviluppato Occidente: è nato così il progetto triennale "Conservation and sustainable use of grapevine genetic in the Caucasus and Northern Black Sea Region", promosso dall'Ipgri (International Plant Genetic Resources Institute) e finanziato dal Governo del Lussemburgo.
Il progetto è concentrato soprattutto sugli aspetti legati alla biodiversità viticola, sia dal punto di vista della sua identificazione che di quello della conservazione: il gran numero di vitigni presenti in queste aree è decisamente interessante sia per le prospettive futuribili della vitivinicoltura locale in ambito di mercato globale - chiaramente in presenza di condizioni socioeconomiche atte allo sviluppo di aziende attrezzate sia tecnologicamente che commercialmente - che per il ruolo avuto da queste specie nella nascita della piattaforma varietale attualmente esistente.
Tale biodiversità è stata resa possibile, in primo luogo, dalla notevole diversità di ambienti presenti nelle regioni in oggetto, nei quali sopravvivono tra l'altro i "parenti selvatici" non solo della vite ma anche di molte pregiate colture. Restando alla vite, tuttavia, la grande variabilità di individui riscontrata in queste regioni, individui sopravvissuti alle malattie e ai parassiti che hanno infestato il vigneto mondiale a cavallo del XX secolo, può costituire una preziosa miniera di informazioni per farci comprendere quali siano state le caratteristiche che hanno permesso loro di resistere. Le risposte, ovviamente, sono da ricercare nel DNA di detti organismi.
Risultati e qualche numero
Ricapitolando, a partire dall'inaugurazione del progetto avvenuta nel 2003 a Tbilisi, in Georgia, dove sono state definite priorità, strategie comuni e interventi da sviluppare nel corso del progetto stesso - le regole di conservazione e le modalità di interazione tra i diversi Paesi coinvolti in merito a informazioni e risorse umane - sono stati raggiunti i seguenti obiettivi: un censimento delle collezioni già esistenti nei sei Paesi e costituzione di un database complessivo; un'indagine e caratterizzazione - tramite attività che vanno dalla stesura di semplice scheda ampelografica fino ad analisi del profilo antocianico tramite HPLC - di varietà autoctone già note, oltre all' individuazione di altre presumibilmente pure autoctone; costituzione di nuove collezioni "in campo" di varietà locali.
Mettendo insieme quanto è venuto fuori dalle ricerche compiute nei sei Paesi, incluse spedizioni in angoli remoti alla ricerca di vecchi vigneti - sovente rinvenuti in stato d'abbandono -, il numero di varietà studiate o anche solo individuate, in ambito sia di vite selvatica che di vite "domesticata", è stato molto più grande di quello che si possa anche solo immaginare.
L'istituto ucraino di Magarach, ad esempio, ha descritto 163 forme di vite selvatica; la collezione georgiana di Vashlidjvari è stata ampliata fino a raggiungere quota 350 accessioni, alcune delle quali moltiplicate anche grazie al contributo italiano - del quale parleremo a breve - oltre che di Moldova e Ucraina; il database complessivo ottenuto dalla fusione delle singole collezioni ha raggiunto oltre 2.500 voci.
E pensare che spariamo razzi che mirano a scovare pianeti nell'immensità celeste quando, in fondo, non solo non conosciamo bene cosa viva sotto il nostro naso, ma anche e soprattutto l'aiuto che ci può fornire in prospettiva.
E con i "nostri" anche i Nostri
Parte importante del progetto è stata l'attività di addestramento di personale specializzato in ricerche genetiche e molecolari, nonché l'erogazione di nove borse di studio riservate a studenti e ricercatori appartenenti ai Paesi in cui si è svolto il progetto: questo compito, organizzato nell'ambito del progetto europeo ECPGR (European Cooperative Program for Crop Genetic Resources Network), è stato portato avanti non solo dal Centre de recherche public Gabriel Lippman - Lussemburgo -, ma anche da soggetti di casa nostra: il Dipartimento di produzione vegetale della Facoltà d'Agraria dell'Università di Milano e l'Isiao (Istituto italiano per l'Africa e per l'Oriente).
Il progetto ha prodotto un altro interessante effetto collaterale dal punto di vista della ricerca archeobotanica: l'attività in Georgia e Ucraina ha permesso infatti di raccogliere informazioni relative a resti di vinaccioli fossili, utili alla comprensione del ruolo della vitivinicoltura nelle epoche passate, sviluppando nel contempo dei sistemi di analisi di vinaccioli fossili finalizzati all'effettuazione di confronti con le varietà attualmente coltivate. Chissà mai che gli alberi genealogici di molti dei vitigni che abbiamo imparato a conoscere nel corso del tempo non subiranno aggiornamenti...
Il lavoro continua
Dopo avere tessuto in diverse occasioni le lodi della ricerca vitivinicola universitaria compiuta in altri Paesi, fa piacere segnalare come anche l'Italia, grazie alla facoltà d'Agraria dell'Università di Milano, si segnali per iniziative di ricerca di respiro internazionale. In tale facoltà, va detto, operano personaggi di notorietà certa in ambito vitivinicolo nazionale, quali Attilio Scienza, Leonardo Valenti e Osvaldo Failla. Un'altra buona notizia, tra l'altro, è che il progetto andrà avanti almeno per un altro biennio, visto che il governo lussemburghese ne ha garantito la copertura economica per tale lasso di tempo.
Sebbene il soggetto di tale iniziativa possa sembrare un argomento molto lontano dalle effettive esigenze dei produttori del Bel Paese - quelle cui la ricerca dovrebbe in primo luogo occuparsi -, in realtà si tratta di un importante progetto dalla duplice valenza: non si tratta infatti solo di ricavare nuove informazioni sull'organismo vite - peraltro potenzialmente trasferibili in ambito produttivo -, attraverso lo studio e la comprensione di questi organismi simili ma non uguali, ma anche e soprattutto di onorare una responsabilità importante da parte del "Vecchio Mondo" vitivinicolo nell'essere custode delle risorse genetiche di ciò che è stato molto probabilmente il luogo dove ignari agricoltori primordiali gettarono le basi del nostro presente vitivinicolo. Un presente al quale, in un modo o nell'altro, tutti noi che amiamo parlare o anche solo gustare la bevanda di Bacco apparteniamo... Mr. Robert Parker Jr e "Una buona annata" inclusi...
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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