Un interessante confronto sulle opportunità e sui rischi di una classificazione alla francese.
Si è svolto nel contesto della Chiesa-museo di San Francesco il Convegno dedicato all’avvio della sperimentazione sulla classificazione del Montefalco Sagrantino Docg, coordinato da Daniele Cernilli, Direttore di Gambero Rosso, che ha permesso il confronto fra personalità del mondo vinicolo italiano ed esperti francesi. Il tema della “classificazione” dei vini è oggetto di attenzione da parte degli operatori italiani ormai da diversi anni, in quanto è diventata sempre più sentita l’esigenza di individuare metodi che permettano di meglio evidenziare i diversi gradi di eccellenza presenti nei vini di una stessa denominazione.
Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha incaricato il Consorzio Tutela Vini Montefalco di procedere a sperimentare un modello di classificazione, per la prima volta al di fuori dalla Francia, ovvero di studiare in modo organico il percorso per realizzare un sistema, fondato sull’ “identificazione di precise classi di prodotto, rapportate ad obiettivi e stabili criteri di valutazione dei requisiti qualitativi intrinseci e di rinomanza sui mercati, nell’interesse sia dei produttori che dei consumatori”, come riporta il DM 19 dicembre 2008. Il Ministero ha voluto così sostenere ufficialmente il progetto, riconoscendone la validità anche sul piano degli interessi generali connessi alla valorizzazione delle Denominazioni di Origine italiane.
Dopo i saluti della città da parte del sindaco Donatella Tesei e l’introduzione di Patrizia Crociani, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco, promotore dell’evento, è intervenuto il professor Vincenzo Zampi, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università di Firenze, a cui il Consorzio ha affidato l’incarico di mettere a punto le procedure per la Classificazione. Il professore afferma che “la classificazione può rappresentare uno strumento molto efficace di promozione del valore del marchio territoriale comune a tutti i produttori della denominazione, permettendo di inviare al mercato un messaggio più chiaro sui diversi livelli di eccellenza presenti all’interno di quell’area, evitando così, ad esempio, che il coesistere sotto una stessa denominazione di vini con prezzi molto diversi, impedisca la costruzione di una solida immagine di qualità di territorio”.
Importante testimonianza dell’esperienza francese, è arrivata da Denis Dubourdieu, Ordinario di Enologia all’Università di Bordeaux, che dopo un excursus sulla situazione oltralpe, ha rimarcato alcune criticità del sistema, mentre il giornalista Thierry Dessauve, autore de La Grand Guide des vins de France, si è soffermato sull’individuazione dei principi e parametri necessari per formulare una classificazione efficace e adatta al contesto attuale, evidenziando anch’egli alcuni limiti emersi nel sistema francese, in particolare l’immobilismo di alcune classificazioni.
Il prof. Attilio Scienza (Ordinario di Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Milano) ha sottolineato l’ importanza che la classificazione tenga conto degli elementi delle specificità propri dei territori. A conclusione degli interventi scientifici, il dott. Stefano Raimondi, direttore Linea Vini e Alcolici e Bevande dell’Ice, ha evidenziato la situazione del mercato estero e delle esportazioni del vino italiano, rimarcando, come in una situazione di crisi come quella attuale, ci sia un incremento della domanda verso vini della tipologia in cui rientra il Sagrantino, ossia vini rossi, importanti e di qualità.
L’intervento conclusivo affidato a Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, ha dedicato un plauso al Consorzio Tutela Vini Montefalco, e ne ha sottolineato il coraggio, per aver dedicato spazio a temi non abituali, affrontando un argomento innovativo. Il Consorzio quindi, con le parole di Patrizia Crociani, accetta la sfida posta dai mercati e si mette in discussione, quale pioniere in Italia su questo tema. Una grande opportunità per analizzare il territorio ed il mercato e per capire che strada deve percorrere il futuro della denominazione.
Estratto Denis Dubourdieu
Riflessioni sul valore e sulle classificazioni dei vini
Prof. Denis Dubourdieu
Facoltà di enologia
Istituto delle Scienze della Vite e del Vino
Università di Bordeaux
Di tutte le categorie di alimenti e di bevande prodotti dalle società umane il vino è sicuramente quella che offre la maggiore diversità di gusti e le maggiori differenze di immagine e di prezzo. I più famosi dei grands Bordeaux di un'annata recente vengono venduti a diverse centinaia di euro la bottiglia, arrivando a costare tra 200 e 400 volte di più rispetto ai Bordeaux meno costosi della stessa annata.
Questo coefficiente di moltiplicazione può superare 10.000 se si considerano le vecchie bottiglie delle grandi annate. Quando e come hanno potuto trovare ragion d’essere e continuare a prosperare queste gerarchie, da alcuni ritenute insolenti? Le classificazioni -ufficiali o meno- da cui traggono vantaggio i grands Bordeaux sono la causa o la conseguenza di queste enormi disparità di prezzo? o paradossalmente entrambe le cose allo stesso tempo, a causa di un rapporto reciproco e dinamico più complesso? Vi è una qualsivoglia convenienza nel traslare questo sistema bordolese in un'altra regione del mondo? Cercherò stamani di rispondere a tali quesiti su richiesta del Consorzio di Montefalco. Diversamente da quanto mi era stato richiesto, non mi limiterò ai soli aspetti enologici e tecnici, poiché il mercato e la storia ricoprono un ruolo preponderante nel creare l’immagine e il prezzo dei vini. Prima di parlare delle classificazioni di Bordeaux e della convenienza di recepirle, ritengo utile condividere con voi alcune riflessioni generali sul valore dei vini maturate grazie alle mie esperienze di produttore e di consulente enologo di numerosi cru già illustri o la cui reputazione deve essere costruita spesso ex novo.
Riflessioni sul valore dei vini
L’attuale situazione viticola mondiale è contraddistinta da un'offerta di vino eccedentaria. La domanda mondiale sta regolarmente aumentando da alcuni anni grazie allo sviluppo di diversi mercati (USA, Asia, Russia ed Europa del Nord, tra gli altri), ma questo aumento del consumo non riesce ad assorbire l'eccedenza dell'offerta. Ciò si spiega essenzialmente per le due ragioni seguenti: la recente forte espansione delle superfici vitate, in particolare nell'emisfero sud, e la riduzione della domanda nei paesi europei (Francia e Italia) tradizionalmente forti consumatori di vino. Questo squilibrio del mercato esaspera sempre di più la concorrenza tra i produttori. Al tempo stesso assistiamo ad un uniformarsi degli stili del vino dovuto all'utilizzo ovunque nel mondo di un numero limitato di vitigni “internazionali” -peraltro spesso francesi- e all'industrializzazione dei processi di lavorazione (edulcorazione, uso di trucioli e così via). Questa standardizzazione ampelografica e tecnologica non fa che rendere più devastanti gli effetti della concorrenza: riduzione dei prezzi ed erosione dei margini, solo per citarne due.
La creazione di valore rappresenta quindi la più grande sfida che i viticoltori mondiali -e francesi in particolare- devono fronteggiare.
Grazie alla diffusione delle conoscenze è possibile oggi produrre grandi quantità di vino a basso prezzo in diverse parti del mondo. Le condizioni necessarie sono ben note: clima caldo e relativamente secco, possibilità tecnica e regolare di irrigazione, se necessario, e manodopera a basso costo. Non vi è nessuna certezza del fatto che i vigneti siti in climi secchi possano disporre in futuro di quantità d'acqua sufficienti, ma per il momento, grazie all’irrigazione, permettono produzioni a costi ridotti. I vigneti europei che non presentano tutti questi vantaggi competitivi avranno sempre costi di produzione più elevati rispetto ai loro concorrenti delle zone calde; sono quindi condannati alla ricerca della massima valorizzazione del proprio prodotto. Tuttavia elaborare un vino a forte valore aggiunto è tutt’altro che semplice. Oggi più che mai il risultato dipende da una complessa combinazione di competenze tecniche, finanziarie e commerciali. È quindi urgente interrogarsi sui fattori di valorizzazione dei vini nel lungo periodo.
Il valore del vino, come quello dell'arte, è il risultato dell'incontro di tre comunità tutte altrettanto esigenti dal punto di vista qualitativo: produttori, clienti e commercianti. Anche la critica, che dovrebbe orientare il cliente, riveste un ruolo essenziale, ma non esclusivo. Contare troppo sulla sua sola influenza appare rischioso. Il vino è sempre “figlio del cliente”. A clienti esigenti, produttori e commercianti esigenti. In altri termini, il venditore esigente deve trovare clienti esigenti; agli altri può vendere soltanto un prezzo.
A mio modo di vedere, quattro sono i parametri interattivi che creano la rappresentazione che conferisce valore al vino nella percezione del consumatore: l’immagine, il prezzo, la tipicità gustativa e la possibilità di conservazione. Ciascuno di questi parametri risulta necessario, pur non essendo sufficiente.
L’immagine è essenziale poiché è la parte dell’immaginario e dell’affettivo del vino -lunga da costruire e rapida da distruggere, soprattutto se non è in grado di adeguarsi ai tempi- che deve corrispondere alla propria epoca. L'immagine di un vino deve assolutamente valorizzare colui che lo beve, lo compra o lo regala. Pur restando sempre contemporanea, essa è obbligatoriamente in continua evoluzione. La creazione di valore non si fa nei musei diffusi.
Il prezzo deve essere più stabile possibile, compatibilmente con le quantità da vendere e con il mercato a cui si punta. Le sue improvvise variazioni, al rialzo o al ribasso, possono far perdere un mercato e rovinare un'immagine. Un prezzo divenuto troppo basso funge da deterrente; proprio perché continua a scendere comporta l’ulteriore riduzione della domanda. Ma fino a che punto? I vini meno cari non hanno forse tendenza ad essere sempre meno cari? La tipicità costituisce il fattore chiave del valore del vino. Può essere definita come la sua capacità di rappresentare un tipo. È la qualità di un vino tipico, cioè caratteristico, originale. Non deve soltanto essere rivendicata dal produttore o da un gruppo di produttori. Deriva innanzitutto da una rappresentazione del vino da parte dell’appassionato. Ovviamente il gusto è l’armatura stessa della tipicità, a condizione che possegga tre attributi essenziali: essere facilmente riconoscibile, essere apprezzato dai consumatori attuali ed essere localizzabile, cioè riconducibile ad un'origine geografica e al relativo sapere.
Se è inimitabile, o almeno difficile da riprodurre altrove, conferisce l’invidiato rango di grand vin, progetto estetico dell'autore e gioia dell'appassionato. La tipicità di un gusto, come l'immagine stessa del vino, è contemporanea. Gli champagne o i grands Bordeaux di oggi sono diversi da quelli di epoche precedenti; tuttavia non per questo non sono tipici. L'uomo produce il vino del suo tempo, per il gusto dei suoi contemporanei con le conoscenze e i mezzi della propria epoca. La manifestazione del terroir costituisce quindi il gusto stesso del vino, difficile se non impossibile da riprodurre altrove. Fintanto che questa tipicità del vino non viene dimostrata, il terroir rimane nella migliore delle ipotesi virtuale, ipotetico o probatorio; nella peggiore un rifugio di abitudini e di linguaggio, roccaforte illusoria contro la concorrenza vicina e lontana. È ovviamente l'uomo che rivela il terroir viticolo. Occorrono decine di anni di cure continue, di sforzi e di successi affinché sia possibile stabilire l'esistenza in tale o talaltro luogo di un vero cru, ovvero la permanenza di un gusto tipico distinto, associato nel lungo periodo a quel terroir e a nessun altro. Talvolta grazie al genio degli uomini è possibile accelerare la storia.
Così la Marlborough Valley in Nuova Zelanda, il Priorat e la Ribera del Duero in Spagna, il Brunello di Montalcino o la Maremma in Toscane sono altrettanti esempi di rivelazioni recenti; dedicati un tempo all'agricoltura, all’allevamento o alla produzione di vini non di pregio, questi territori si sono trasformati in meno di vent'anni in terroir viticoli ambiti grazie al successo commerciale e alla tipicità dei vini che producono. L’idoneità alla conservazione, la capacità di invecchiare sviluppando al contempo la propria originalità sono fattori determinanti del valore del vino. I vini costosi sono vini tipici capaci di invecchiare bene. Vendere un vino di un certo valore significa venderne il futuro, sia dal punto di vista del gusto che di quello commerciale. Del resto il mercato inglese non chiama forse “futures” le vendite a scadenza dei grandi vini di Bordeaux?
Anche il rapporto tra tipicità, clima e impianto è molto importante. I vitigni si esprimono al loro meglio se possono raggiungere la piena maturità al termine di un ciclo vegetativo lungo. Le uve non sufficientemente mature, oppure quelle stramature, non permettono di ottenere vini tipici. Se dalle prime si ottengono sempre pessimi vini, dalle seconde, ancorché senza difetti, si ottengono vini che si assomigliano indipendentemente dall'origine, con una capacità di invecchiamento limitata. I vini tipici e da invecchiamento vengono ottenuti essenzialmente da varietà coltivate al loro limite settentrionale nell'emisfero nord, o meridionale nell'emisfero sud. È il caso del Merlot, dei Cabernet e del Petit Verdot a Bordeaux, del Syrah a Tain l’Hermitage, dello Chardonnay o del Pinot in Borgogna, del Sangiovese in Toscana o del Tempranillo in Rioja, del Sauvignon bianco a Sancerre o in Nuova Zelanda, e così via.
Dunque tipicità e valore del vino si ottengono solamente in situazioni limite, ma tutto ciò comporta un costo, poiché la viticoltura in quei luoghi è delicata e di conseguenza onerosa. Il terroir non è un privilegio, né un dono della natura, come troppo spesso si sostiene. È piuttosto il superamento di un handicap naturale. A Bordeaux, per il vigneto da rosso, l’handicap consiste nella pioggia abbondante del clima atlantico. I vini rossi sono più facili da produrre nei climi più asciutti. Bordeaux ha messo a punto empiricamente una viticoltura rossa di qualità in un clima umido scegliendo terreni viticoli poco fertili, con scarsa riserva d'acqua (ciottoli fluviali, argille, calcari) e favorendo il dispendio d'acqua della vite tramite una estesa superficie foliare. I costi di produzione non possono essere bassi. Tuttavia quando l’handicap viene superato e le condizioni climatiche dell'annata lo consentono, la tipicità dei vini di Bordeaux si presenta inimitabile.
Le classificazioni dei vini di Bordeaux
Esistono, o per meglio dire esistevano, 5 classificazioni dei vini di Bordeaux: la classificazione del 1855 dei cru del Médoc (più Haut Brion) e di Sauternes, le classificazioni delle Graves (1953-1959), le classificazioni di Saint Emilion (1959, 1969, 1986, 1996, 2006) e le classificazioni dei crus bourgeois del Médoc (1932-2003). In tutte le epoche le classificazioni si sono basate sulla notorietà e sul prezzo. Evidentemente la qualità gustativa del vino e la sua tipicità sono prese in considerazione, ma non sono sufficienti a promuovere il vino se questo rimane sconosciuto e distribuito male. Per natura conservatrici, le classificazioni consacrano la notorietà, spesso già acclarata, di un cru senza mai riconoscere i vini meritevoli ignorati dal mercato. Invece i cru promossi dalla classificazione ufficiale ed elitaria godono di una visibilità ancora maggiore che si traduce in un notevole aumento del loro valore. Così le classificazioni consacrano una graduatoria gerarchica stabilita generando rendite di posizione più o meno durevoli e sono in larga misura responsabili dell'impennata dei prezzi dei premiers crus di Bordeaux dall'annata 2000.
La classificazione del 1855 non è mai stata veramente rivista, ad eccezione della promozione del Mouton Rotschild al rango di Premier Cru nel 1973.
L’ultima classificazione delle Graves risale a cinquant'anni fa; è stato necessario rivederla all'inizio degli anni 2000 su richiesta dei produttori delle Graves, ma il tutto si è risolto in un nulla di fatto a causa del mancato accordo sul regolamento.
L'ultima classificazione dei crus bourgeois del 2003 è stata annullata dal Tribunale Amministrativo d’Appello di Bordeaux. L’alliance des Crus Bourgeois è orientata verso la certificazione annuale ad opera di un organismo indipendente.
Quanto alla classificazione dei vini di Saint Emilion, anch'essa è stata annullata dal Tribunale Amministrativo nel 2007. La classificazione del 1996, ampliata con i crus promossi dalla classificazione del 2006, sarà valida fino al 2011. Cosa accadrà in seguito non è dato sapere.
Le classificazioni hanno un futuro? Personalmente non ne sono convinto. Se sono elitarie o se rimettono in discussione situazioni consolidate vengono contestate in tribunale; se sono lassiste e demagogiche non hanno alcun effetto sul mercato. Resta da immaginare uno strumento obiettivo di misura della notorietà e della diffusione commerciale dei crus che sia riconosciuto da tutti.
Estratto Vincenzo Zampi
Il percorso per l’avvio della sperimentazione di un modello di Classificazione
Nel corso degli ultimi anni il Consorzio di Tutela dei Vini di Montefalco ha messo in atto numerose iniziative volte alla valorizzazione dei vini provenienti del suo territorio e che hanno riguardato sia il fronte della produzione che quello dell’approccio al mercato. In questo ambito è stata presa in esame anche la possibilità di realizzare una classificazione di merito dei Montefalco Sagrantino ispirata al modello francese. Dopo aver svolto uno studio accurato è stato così messo a punto un possibile modello di classificazione che, con i dovuti adattamenti, richiama quello che è stato adottato a Saint Emilion a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, dopo aver preso visione del lavoro preparatorio svolto ed averne riconosciuto il rilievo e la validità, ha stabilito con Decreto emanato in data 18 dicembre 2008 di affidare ufficialmente al Consorzio di Tutela dei vini di Montefalco il compito di svolgere una sperimentazione per la realizzazione di una Classificazione dei vini DOCG Montefalco Sagrantino.
Il Consorzio di Montefalco si è così attivato per passare dalla fase progettuale a quella operativa, volta a realizzare concretamente la sperimentazione di un modello di classificazione che, come recita il decreto ministeriale, permetta “l’identificazione di precise classi di prodotto, rapportate ad obiettivi e stabili criteri di valutazione dei requisiti qualitativi intrinseci e di rinomanza sui mercati, nell’interesse sia dei produttori che dei consumatori”. Il convegno organizzato a Montefalco per il 19 novembre 2009 rappresenta l’avvio ufficiale di questa sperimentazione, la cui conclusione è prevista per l’autunno del 2010, termine che il Ministero ha posto per la presentazione dei suoi risultati.
Le finalità ed i caratteri del modello di Classificazione proposto.
a) Finalità
Le ragioni di ordine generale – ovvero potenzialmente valide per qualsiasi Denominazione vinicola italiana – che possono giustificare l’adozione di un sistema di Classificazione possono essere le seguenti:
1) può fornire un’occasione di grande visibilità a livello internazionale: se – come ci è dato sapere – si tratta del primo caso di applicazione organica di un modello di questo tipo al di fuori della Francia, la Classificazione può diventare a determinate condizioni un’importante occasione per suscitare interesse a livello globale; un’opportunità di rilievo soprattutto per quei prodotti che, pur presentando carattere di eccellenza, ancora non godono di adeguata notorietà a livello internazionale;
2) può essere uno strumento di grande aiuto nel definire meglio il “posizionamento” presso il pubblico di un marchio territoriale (Denominazione di origine): spesso sotto l’ombrello dello stesso marchio territoriale convivono vini che presentano delle combinazioni prezzo/qualità molto diverse fra loro; questa circostanza può generare confusione nei consumatori che possono trovarsi in difficoltà nel formarsi una chiara idea dei valori qualitativi associabili ad una determinata denominazione d’origine (problema di percezione del valore); un problema rilevante soprattutto per quelle Denominazioni che, pur presentando numerosi casi di eccellenza, ancora non sono state in grado di consolidare una precisa immagine di qualità sul mercato (posizionamento);
3) può aiutare a promuovere e valorizzare in modo sostanziale l’identità territoriale comune (marchio territoriale – Denominazione d’origine): proprio in relazione alla questione richiamata al punto 2, uno dei principali problemi che caratterizza molte delle principali Denominazioni vinicole italiane è la difficoltà di costruire una efficace sinergia fra le imprese-leader – che svolgono un ruolo insostituibile nel costruire la reputazione del territorio di appartenenza e nell’aprire la strada sui mercati – e l’insieme delle altre imprese che fanno parte della medesima Denominazione. La Classificazione può rappresentare un modo per superare questo limite, permettere alle aziende di operare in modo sinergico al fine di costruire di una solida identità territoriale, contemperando le esigenze e le potenzialità dei diversi attori operanti all’interno di una medesima Denominazione di Origine: ovvero, permettendo, da un lato, alle imprese-leader di veder riconosciuto il loro ruolo e, dall’altro lato, dando in cambio a tutte le altre una sostanziale valorizzazione del marchio comune; in tal modo si riduce il rischio che l’identità territoriale possa entrare in conflitto con quella delle singole aziende, facendo anzi in modo che, incrementando la sua reputazione, rappresenti un elemento di sicurezza e garanzia per tutti coloro che la condividono
4) può essere uno strumento per favorire l’ulteriore sviluppo in senso qualitativo – in tutti i modi in cui questa espressione può essere intesa – delle aziende e dei loro prodotti; se i criteri su cui si fonda la Classificazione sono in grado di richiamare efficacemente i criteri su cui i mercati di riferimento effettuano le proprie valutazioni, può fornire alle imprese produttrici uno schema di riferimento utile per valutare i propri punti di forza e di debolezza secondo una logica che non è – come spesso capita nel nostro Paese – di tipo “autoreferenziale”; questo può essere di grande aiuto in vista del raggiungimento di livelli di qualità sempre più elevati e, soprattutto, al fine di valorizzare le proprie individualità e specificità in modo più coerente con le logiche dei mercati a cui si intende rivolgersi.
- b) Caratteristiche del modello di Classificazione proposto.
Il modello di classificazione proposto per la sperimentazione si ispira principalmente quello adottato da più di cinquat’anni a Saint Emilion, di cui è ripresa l’impostazione generale sia pure con numerosi adattamenti alla specifica situazione di Montefalco ed a quella italiana in genere.
Gli aspetti salienti del modello sono:
1) sono classificati vini (delle “etichette”) e non vigneti;
2) i criteri di classificazione fanno riferimento, prima di tutto, a requisiti propri del singolo vino e che fanno riferimento in particolare a parametri di qualità e notorietà oltre che al prezzo; sono poi presi in considerazione anche alcuni requisiti propri dell’azienda produttrice;
3) la valutazione di merito è informata ad logica di “certificazione”, ovvero di verifica di risultati già raggiunti e non al puro apprezzamento discrezionale da parte dei membri della commissione; anche la valutazione della qualità (organolettica) prevede esplicitamente l’esame dei giudizi che la stampa specializzata nel periodo di riferimento; lo svolgimento di degustazioni da parte della Commissione di valutazione rappresenta uno strumento complementare volto a verificare taluni aspetti che non sempre è possibile dedurre da fonti esterne, quale ad esempio la verifica della capacità di un vino di invecchiare;
4) la Commissione di valutazione sarà costituita da soggetti esterni a Montefalco, che saranno scelti dal Ministero fra personalità di rilievo del mondo del vino ed espressione dei principali ambiti di competenza all’interno del settore.
5) è prevista la revisione della Classificazione ad intervalli di tempo pre-definiti, inizialmente più ravvicinati (3-5 anni) per poi diventare più lunghi (10 anni, come Saint Emilion).
La sperimentazione sul Montefalco Sagrantino
a) Perché la necessità di una sperimentazione?
Come premesso, ciò che viene presentato il 19 novembre 2009 è la sperimentazione del modello di Classificazione appena illustrato. Tutti sono perfettamente consapevoli delle difficoltà e delle resistenze che la realizzazione di un progetto di Classificazione è verosimilmente destinato ad incontrare. Per questo il primo obiettivo è quello di cercare di verificare se in Italia è possibile adottare una Classificazione dei vini appartenenti ad una specifica Denominazione d’Origine secondo un modello ispirato a quello francese. La speranza è ovviamente quella che la sperimentazione abbia esito positivo ma, in ogni caso, vi è una diffusa convinzione che valga la pena di svolgere questo tentativo in quanto appare senz’altro opportuno accumulare esperienza intorno ad un tema su cui nei prossimi anni le imprese del settore saranno con tutta probabilità chiamate comunque confrontarsi.
b) Perché a Montefalco?
Il fatto che sia stato proprio il Consorzio di Tutela dei vini di Montefalco a farsi promotore di questa iniziativa non è casuale. Il Montefalco Sagrantino puà essere infatti considerato un irripetibile laboratorio in cui sperimentare e cercare di metterle a punto una Classificazione. Il Sagrantino di Montefalco presenta infatti tutte le caratteristiche per poter sfruttare gli effetti positivi di cui si è detto sopra: nonostante la presenza all’interno dell’area produttiva di un numero significativo di imprese che singolarmente hanno saputo già dimostrare di avere doti di eccellenza, la notorietà ed il prestigio di questo vino non è ancora pari al valore ed alla unicità che questo che già oggi è in grado di esprimere.
Allo stesso tempo, la particolare combinazione fra le dimensioni sostanzialmente limitate dell’area di produzione e il numero – proporzionalmente elevato – di aziende che, in vario grado, hanno già dimostrato di avere doti di “eccellenza”, rende Montefalco un naturale laboratorio per svolgere un esperimento di Classificazione che, attraverso il riconoscimento esplicito dei valori raggiunti dalle imprese leader e la chiara indicazione a tutti i produttori di quali siano i benchmark di riferimento, permetta un sostanziale sviluppo del valore della comune identità territoriale.
Estratto Thierry Desseauve
Pro e contro della classificazione ufficiale dei vini
Thierry Desseauve, Bettane&Desseauve
1. La questione della classificazione
Una delle regole fondamentali del mondo del vino fin dalle origini consiste nel fatto che la notorietà dei migliori vini va a vantaggio dell’intera regione che li produce. Gli storici ci ricordano fino a che punto il cru di Falernum aumentasse il prestigio dei vini di tutta la regione Campania ai tempi dell'antica Roma o come nel Medioevo il paziente lavoro di selezione dei terroir da parte dei monaci della Borgogna determinasse in larga misura la celebrità dei cru della Côte de Nuits e della Côte de Beaune. Sono le grandi marche di Champagne che hanno reso e continuano a rendere questo nome sinonimo di festa e raffinatezza in tutto il mondo. Mi trovavo a Hong Kong la settimana scorsa e ho potuto rendermi conto personalmente di quanto il termine “first growth” fungesse per Bordeaux da straordinario passepartout.
Contrariamente a quanto pensano troppo spesso molti produttori, che in realtà produttori non sono affatto, i crus classés non dovrebbero scatenare gelosie, ma dovrebbero rappresentare piuttosto un’opportunità. In effetti oggi giornalisti e promotori operano in questa direzione dato che la parte essenziale del nostro lavoro consiste proprio nello stabilire una gerarchia e nel chiarire a vantaggio dei consumatori le caratteristiche della produzione di un vigneto. Oggi ci siamo riuniti per parlare della classificazione dei vini e non dei terroir come quelli della Borgogna o della Champagne (con i premiers e i grands crus) o dei domaine come nel caso della classificazione del 1855 (rive gauche bordolese).
2. I pro
Una classificazione ufficiale presenta a mio avviso diversi vantaggi:
- impone alcuni vini come motore trainante della rispettiva denominazione, fungendo da apripista per tutti gli altri cru;
- sviluppa una mediatizzazione legata alla pubblicazione dei risultati e quindi alla conferma di tali risultati da parte di esperti e promotori. Se ad esempio un critico attribuisce un punteggio massimo ad un vino non classificato, la ribalta mediatica di questo vino, ma anche della denominazione nel suo insieme, sarà molto più forte di quella ottenibile con lo stesso punteggio da un vino sconosciuto in una denominazione senza gerarchia di riferimento;
- crea un'emulazione all'interno della comunità di produttori.
3. I contro
Sulla base dell'esperienza delle diverse classificazioni francesi, essenzialmente a Bordeaux, è possibile evidenziare numerosi rischi di vario ordine:
- L’immobilismo. Il mondo del vino si muove con grande rapidità. Ci troviamo riuniti oggi nel territorio di una denominazione che ha compiuto enormi passi avanti negli ultimi dieci anni. Come si può immaginare che una qualsivoglia classificazione possa “scolpire nel marmo” una gerarchia valida per i prossimi decenni? L’esempio della classificazione del 1855 illustra perfettamente ciò che occorre assolutamente evitare: congelare una situazione negando di fatto l'accelerazione impressionante del mondo del vino da 30 anni a questa parte.
- La confusione. A Bordeaux gli châteaux classés producono perlopiù soltanto due vini con gerarchia chiara: il “gran vino” e il secondo vino. Quando si classifica una tenuta in realtà si fa riferimento solamente al “gran vino”, ma la restrizione della gamma evita ogni confusione. È possibile paragonare il caso di Bordeaux a quello di Montefalco? Che cosa succederebbe se alcune proprietà fossero classificate grazie ad una cuvée speciale prodotta in quantità limitatissima? È molto probabile che queste proprietà tenterebbero di utilizzare la classificazione a beneficio di tutta la propria produzione.
- L'aspetto legale. Nell’introduzione il professor Vincenzo Zampi ha menzionato più volte l'esempio di Saint-Emilion. Effettivamente questo esempio, soprattutto in ragione del suo rinnovo decennale, è di grande interesse, ma lo è ancora di più per quanto sta accadendo attualmente a Saint-Emilion. I cru bocciati in occasione dell'ultima valutazione si sono rivolti ai giudici i quali hanno dato loro ragione in più occasioni con il conseguente blocco totale della procedura. Soltanto un giurista esperto potrebbe illustrare la situazione attuale e spiegare quali vini sono classificati e quali non lo sono, tanto la situazione appare intricata. Un altro caso significativo è quello del tentativo di aggiornare i crus bourgeois del Médoc, conclusosi con una sconfitta legale.
- Terroir e vino. Anche classificando i vini e non le tenute, non si può trascurare la regola fondamentale delle disparità dei terroir in termini di qualità, poiché essa è alla base della nozione stessa di Origine Controllata. Una classificazione che tenesse in considerazione soltanto la degustazione e il processo di produzione correrebbe il rischio di rimettere presto in discussione il concetto stesso di Origine Controllata.
4. Le basi fondamentali della classificazione
A proposito delle esperienze francesi in materia e sulla base delle mie personali osservazioni, mi sembra necessario tenere conto di diversi principi e basi di giudizio nella creazione di una classificazione:
Principi:
- Aggiornamento. È indispensabile garantire una revisione regolare della classificazione, che verta inoltre sull’esame delle recenti annate di produzione. Montefalco è una denominazione giovane, con una gerarchia ancora molto mobile e realizzare una classificazione valida 10 anni che verta sugli ultimi 10 anni di produzione, come a Saint-Emilion, potrebbe sembrare eccessivo. Credo che occorra tenere conto dell'accelerazione dei tempi.
- Rappresentatività dei vini classificati. Classificare delle cuvée che rappresentano solamente il 5 o il 10% della produzione di un operatore appare ingiusto nei confronti degli altri produttori e allo stesso tempo ingannevole per il consumatore che non avrà la possibilità di reperire questo vino e che si vedrà proporre altre cuvée giocando sulla confusione precedentemente evocata. Una classificazione dovrebbe riguardare vini che rappresentino almeno il 51% della produzione della tenuta della categoria interessata (denominazione e colore).
- Tracciabilità dei terrois di provenienza dei vini classificati. La mancanza di un’analisi approfondita della tracciabilità e della relativa garanzia ai consumatori lascerebbe spazio al rischio di frode, con conseguenze disastrose per la denominazione ma anche per il principio stesso di classificazione.
Criteri di giudizio:
- Garanzia del controllo della produzione. Ciascun vino classificato dovrebbe a mio avviso essere in grado di dimostrare il rispetto di un processo certificato, dalla vigna all’imbottigliamento, passando per la vinificazione. Non si tratta tuttavia di una condizione sufficiente per poter accedere alla classificazione, quanto piuttosto di una condizione necessaria.
- Analisi del mercato. Sin dal XVIII° secolo le classificazioni migliori si sono basate sul verdetto del mercato e in particolare sul prezzo del vino. Se il vino viene prodotto in quantità significative (per evitare i fenomeni di “cult wines”) il prezzo è un importante indicatore del suo rango. Occorre tuttavia essere capaci di misurare in maniera precisa il prezzo medio di una bottiglia, in tutti i settori di distribuzione e in tutti i paesi…
- Degustazione. La degustazione verticale di diverse annate di uno stesso vino, obbligatoriamente dopo l'imbottigliamento, mi sembra possa costituire la base indispensabile per giudicare la qualità intrinseca del prodotto come pure la sua capacità di invecchiamento, che rimane, a mio parere, il giudizio supremo sui grandi vini.
5. La degustazione
A proposito di quest'ultimo punto, che costituisce il fulcro dell’attività che svolgo con Michel Bettane e con il nostro team, vorrei sottoporvi alcune considerazioni sulla natura del gruppo chiamato a degustare i vini. Credo sia necessario costituire tre gruppi diversi, ciascuno dei quali dovrebbe lavorare di concerto con gli altri:
- Esperti e promotori internazionali. I vini di qualità vengono oggi distribuiti e venduti in tutto il mondo. Mi sembra indispensabile che i candidati ad una classificazione siano sottoposti al giudizio di esperti -giornalisti, enologi, trade - abituati a degustare prodotti di tutto il mondo.
- Specialisti nazionali. Ovviamente il gruppo di vini deve anche essere analizzato da conoscitori della denominazione, dei relativi vitigni e dei produttori.
- Consumatori. Il giudizio dei consumatori è essenziale, sempre che sia garantita la guida della degustazione. Noi stessi stiamo organizzando da più di un anno, in collaborazione con la catena di distribuzione francese Monoprix, degustazioni con giurie di consumatori reclutati tra i lettori della nostra guida che vengono poi sottoposti all’approvazione di un laboratorio di enologia che prevede diversi test atti a valutarne non tanto la conoscenza, quanto piuttosto la coerenza del gusto (salato, dolce, amaro, acido, percezione aromatica, e quant’altro). La degustazione viene quindi guidata dando la parola a ciascun degustatore, ma senza che venga espressa la nostra opinione. In ultima analisi disponiamo unicamente del diritto di veto per rifiutare quei vini che vengono accettati dai consumatori ma che a nostro avviso presentano difetti. Nella pratica tuttavia i consumatori si rivelano generalmente più severi di noi!
Fonte news: Well Com
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ArchivioOVERTIME FESTIVAL 2020: DEGUSTAZIONI GRATUITE DI VINI AZIENDA NEVIO SCALA
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