Nome in codice, accisa
Siamo nel 2012 e mentre si parla di recessione, spread e cali in borsa, c'è chi attende, trepidante, di scoprire se le liberalizzazioni che il governo Monti si accinge a varare sovvertiranno l'ordine delle cose o si limiteranno, più verosimilmente, ad una spolveratina di dubbia efficacia. In questo quadro, i migliori talenti imprenditoriali nazionali ed internazionali, coloro che nonostante il momento difficile con coraggio cercano comunque di muoversi e di farlo sempre all'interno delle regole, coloro che si dedicano con volenterosa passione al proprio lavoro cercando di andare oltre i propri limiti, vedono nell'estero uno sbocco fondamentale al quale è oggi effettivamente impossibile rinunciare.
La Comunità Europea, la libera circolazione delle merci e la moneta unica, da un lato spingono positivamente in tal senso ma dall'altro, a fare da impenetrabile barriera protettiva per le lobby dei grandi distributori e importatori, decine e decine di paletti, lacci e lacciuoli impediscono concretamente una corretta circolazione delle merci tra aziende e persone (cosa che paradossalmente non avviene per i servizi).
Parliamo di e-commerce e di vendita diretta. Parliamo di internet e di disintermediazione. Finché restiamo a casa nostra tutto bene ma quando proviamo a voler vendere all'estero iniziano i problemi di cui il principale è costituito dalle accise dai codici accisa e dai relativi domicili fiscali necessari per comprare e vendere vino anche laddove, paradossalmente le accise siano pari a zero la carta, le pratiche, le gabelle, devono essere comunque applicate.
- Se hai un'azienda vinicola e vuoi vendere all'estero ad un professionista munito di partita iva puoi farlo ma sia tu che lui dovete avere un codice accisa (fornito dall'agenzia delle dogane).
- Se hai un'azienda vinicola e vuoi vendere all'estero a un privato non puoi farlo perché un privato non può avere un codice accisa.
- Se sei un privato che con la tua auto vieni a prenderti qui da noi la merce e te la porti a casa rispettando certi limiti, invece va tutto bene.
Se non rispetti le regole, rischi il penale per contrabbando!
Cose da era dei pirati (e non mi riferisco a quelli informatici).
Io mi chiedo in quali anni siano state scritte queste norme (mi pare il 1992?), mi chiedo come possano queste norme convivere oggi con un mondo che ha conosciuto la rete e le infinite possibilità di disintermediazione ed avere la pretesa di essere considerate minimamente attuali e quali strumenti il Governo pensa di mettere in atto per poter mettere la politica e la macchina burocratica in grado di stare al passo con un'evoluzione che procede a ritmi completamente diversi.
Mi chiedo infine quando i governi degli stati membri ed il Consiglio dell'Unione Europea si renderanno conto che la rete è il presente e sarà sempre più il futuro e che se non prevedono urgentemente misure atte a sbloccare tutti questi vincoli, comporteranno un danno di misure incalcolabili per tutte le aziende che pur potendo vendere,
pur in presenza di domanda, rinunciano.
Accade ogni giorno: moltissime aziende, siti e-commerce ed altri rivenditori, richisti di inviare prodotti di qualità all'estero sui quali - intendiamoci - pagherebbero comunque le tasse procurando un beneficio per l'economia del paese, preferiscono il più delle volte declinare per via della difficoltà oggettiva di compiere queste ormai semplici e consuete attività.
E' assurdo!
Oggi si va da Milano a Parigi con una manciata di euro in aereo, si può ordinare un bancale di vino seduti sul divano tramite un ipad pagando con paypal o carta di credito, che senso ha limitare tutto questo se non solo quello di preservare privilegi e lobby che dovranno comunque, presto o tardi, confrontarsi con il nuovo che avanza? Tanto, come ci insegna
ebay, i privati e le aziende si organizzano comunque in un modo o nell'altro. E' mai possibile che non rispettare le regole debba diventare l'unico modo possibile di fare le cose e di progredire?
Mi auguro che facciate girare questo post il più possibile.
E' necessario.
Inserito da Alessandro Carlassare
il 07 gennaio 2012 alle 17:56Sgombriamo il campo, nessun laccio a tutela di presunte lobby: per TUTTI gli importatori le Accise sono solo una rottura di scatole, con costi folli e multe inaudite nel caso di errata contabilità, anche quando, come in Italia, l'accisa sui vini e pari a zero. (e parliamo sottovoce: se si accorgono che molti stati europei le applicano.....).
Purtroppo le Accise sono tasse, lo sappiamo tutti quando andiamo a fare benzina o quando comperiamo una bottiglia di superalcolici (dove la tassa Italiana è di euro 8,0001 al litri anidro) che il produttore riconosce allo Stato al momento di porre in commercio il proprio prodotto o quello importato da uno Stato estero.
E non essendo armonizzate tra Stato e Stato l'unica soluzione possibile è il commercio tra depositi fiscali: come l'IVA che non si paga nel paese di origine del prodotto ma in quello di vendita.
Altrimenti, da casa mia e sul mio divano, altro che ordinare un bancale di vino: comprerei una cisterna di benzina il Slovenia per rivenderla a 35 centesimi in meno al litro qui in Italia (e la differenza tra noi e loro è data solo dalle accise).
Ciao